Sia la teologia che la psichiatria mantengono e condividono l’ambizione di rendere ragione dell’umano senza per questo entrare in concorrenza, perché rivolte ad esperti diversi di questa realtà. La psichiatria ha un orizzonte più limitato e si vuole riferire solo all’analisi e alle problematiche dell’uomo sofferente, rispettando il campo degli interrogativi metafisici e religiosi: il suo statuto è, quindi, quello della clinica e della terapia. Il teologo e lo psichiatra analizzano, formulano ipotesi, offrono suggerimenti o soluzioni. Potranno esservi divergenze, dissonanze tra loro, ma vi sono anche molti punti in comune, e molti elementi importanti da tenere in considerazione. C’è più di un punto di contatto tra teologia e psichiatria, tra questi due spiccano in particolar modo due: 1) il primo è rappresentato dalle domande di fondo che entrambe si pongono: – Il mondo della religione, o della teologia, quando entra in comunicazione con gli uomini, parte da alcune domande alle quali si propone di dare una risposta. Sono le domande essenziali per ogni vita umana: chi siamo, che senso ha la nostra vita, quali sono i valori sui quali si basa la nostra esistenza. Ebbene queste stesse domande sono anche il punto di partenza della psichiatria. 2) Il secondo punto di contatto tra teologia e psichiatria, viene definito “della costruzione”: – I malati (come anche noi) costruiscono psicologicamente la religiosità, intesa come continua propensione verso la sfera divina e soprannaturale. Qui, l’oggetto non è la religione in sé, ma l’intreccio di strutture e processi psichici attraverso i quali il soggetto, durante il percorso di costruzione della propria identità personale, si relaziona con il divino e con la religione che incontra nel suo ambiente sociale e culturale. Sia l’adesione alla fede sia il rifiuto ateo può essere studiato e capito in psicologia come funzione della persona, dei suoi dinamismi intrapsichici e delle loro risoluzioni. In termini psicologici puri, anche una scelta di ateismo è una forma di religiosità. La fede serve anche per dare un senso alla psichiatria. Anticamente, non si avvertiva in alcun modo il bisogno di riconciliazione tra il mondo della patologia mentale (o della follia, come la si chiamava) e il mondo del sacro, anche se il rapporto aveva un carattere peculiare. Per mancanza o insufficienza di conoscenze sulla realtà della patologia mentale, i malati psichici venivano trattati come indemoniati e così si finiva per sacralizzare l’alienazione mentale ritenendola una manifestazione soprannaturale. Oggi in buona misura le cose si sono capovolte. Il malato psichico non è più visto come un dannato, ma piuttosto come un innocente, in quanto non pienamente responsabile.
Dott.ssa Manila Di Gennaro (Teologa)