PALERMO – Con una originale mostra antologica, il Teatro Biondo di Palermo rende omaggio alla scenografa e costumista Santuzza Calì, che proprio quest’anno ha raggiunto il traguardo dei novant’anni, vissuti intensamente tra l’Europa e l’Italia al fianco di registi e artisti di grande fama, a partire da Oskar Kokoschka, del quale è stata allieva e poi assistente negli anni ’60.
La mostra Santuzza Calì – Acquerelli, bozzetti, figurini, costumi, curata da Giovanna A. Bufalini, Paola Tosti, Laura Zanca, Giulia Barbera con la collaborazione della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, si inaugura il 28 settembre 2024 alle ore 18.00 al Teatro Biondo con la partecipazione dell’artista. Interverranno Pamela Villoresi, direttrice del Teatro Biondo, Maria Ida Biggi, direttrice dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini, il regista Lorenzo Salveti, Luigi Piccolo, direttore della Sartoria Farani di Roma e Veronica Olmi, direttrice del Teatro Verde di Roma. Per l’occasione sarà presentato il libro di Maria Ida Biggi Santuzza Calì – Arte fantasia colore, pubblicato da Silvana Editoriale con il patrocinio della Fondazione Giorgio Cini. La mostra, che comprende bozzetti, figurini, foto, costumi, documenti, resterà aperta fino al 29 dicembre 2024.
Santuzza Calì artista, pittrice, costumista e scenografa, tuttora attiva sulla scena internazionale, da circa tre anni ha lasciato Roma e vive a Sperlinga, in provincia di Palermo, luogo di origine della sua famiglia.
Nipote della pittrice Pina Calì, notevole esponente della pittura siciliana degli anni ’30, e di Silvestre Cuffaro, scultore dalla potente impronta etica, Santuzza ha mostrato da subito spiccate qualità artistiche e pittoriche. Giovanissima, in anni in cui era raro vedere una ragazza siciliana viaggiare in Europa e ricevere premi, agli inizi degli anni Sessanta, a Salisburgo, Santuzza è stata allieva e poi assistente del grande pittore austriaco Oskar Kokoschka, il quale per primo le pronosticò che si sarebbe occupata di teatro.
Successivamente, a Roma, ha incontrato Emanuele Luzzati, Alessandro Fersen e Aldo Trionfo, che l’hanno introdotta al teatro e con i quali è nato un sodalizio durato una vita. A cominciare dal Golem di Alessandro Fersen, nel 1969, Santuzza Calì ha collaborato come costumista e scenografa con i maggiori registi, attori e direttori d’orchestra a livello internazionale. I suoi lavori sono stati esposti in numerose mostre, e alcune sue opere fanno parte della Frick Collection di New York. Recentemente tutto l’Archivio dei suoi disegni, bozzetti, figurini e documenti è stato acquisito dall’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia.
La Mostra allestita al Teatro Biondo, pensata come una festa per celebrare i suoi novant’anni e il suo lungo percorso artistico, rappresenta solo una breve introduzione alla sua vasta e multiforme attività, e racconta in sintesi i momenti più significativi di questo singolare, affascinante viaggio artistico ed esistenziale. Il racconto si snoda attraverso materiali iconografici, testimonianze, costumi e oggetti di scena: dalla “Scuola del Vedere” di Oskar Kokoschka a Salisburgo agli esordi in teatro, nel 1969, con Emanuele Luzzati, Alessandro Fersen e Aldo Trionfo, e via via agli spettacoli e alle collaborazioni nei maggiori teatri del mondo, fino alle pièces dedicate ai bambini e alle cartapeste e i manufatti realizzati con Gabriella Saladino nello Studio di via Maqueda a Palermo. Le due artiste hanno prodotto per anni un artigianato di altissima qualità: i “giocattoli” di cartapesta, le teline con “il mondo alla rovescia”, le maschere, i metal-collages, sembrano pensati per bambini di altri tempi, appartengono a una dimensione in cui il mondo è buono e la cattiveria diventa quasi comica.
«In tutta l’opera di Santuzza Calì – spiega Giovanna A. Bufalini – prevale il gusto del colore, che dà vita alla sua visione del mondo. Un costume non è mai solo un costume, è un’opera pittorica; un tessuto non è mai solo un tessuto, ma si stinge o si arricchisce di una velatura di azzurro, o di un effetto stencil. Ogni costume è un’opera a sé. Una piccola gobba in più, qualche centimetro in meno di un pantalone, sono rivelatori di una sottile ironia nei confronti del personaggio, mentre un costume che si trasforma in una scenografia diventa a volte un inatteso intervento registico».
«Santuzza Calì – afferma Maria Ida Biggi – considera la sua attività teatrale, iniziata sul finire degli anni Sessanta del ’900, una forma d’arte libera e creativa che unisce la sua vasta cultura figurativa con una straordinaria abilità artigianale e una spiccata intelligenza nella collaborazione con le maestranze del palcoscenico. La sua fantasia mischia e accoglie la lunga esperienza nel lavoro manuale e i riferimenti iconografici e culturali che le appartengono. Lei stessa dichiara: “Ho sempre accostato il lavoro allo studio. Non ho mai smesso di studiare, di conoscere altre realtà ed esperienze di vita diversa”. L’immaginazione la aiuta a concepire i costumi come singoli elementi di un unicum che si raccoglie nello spettacolo: ogni singolo pezzo si somma in una composizione complessa che amalgama visione unitaria e attenzione per la necessaria praticità del costume teatrale. Il talento di Santuzza Calì sta tutto nell’estro e nella potenza creativa, che riesce ad esprimere con il genio della combinazione dei colori, della scelta dei tessuti e delle tecniche di montaggio che servono per immaginare le caratteristiche del personaggio. Tutta la sua creatività appare attraverso una lente deformante, in cui i riferimenti filologici, spesso, si possono scoprire sotto la fantasia, piuttosto che nella ricerca di ricostruire un’epoca storica. La sua invenzione si rafforza attraverso il costante confronto con il regista e con lo scenografo, con i quali, di frequente, basta uno sguardo, una parola, una lunghezza d’onda, come lei stessa riferisce».