Chi è Maria di Nazareth? Chi è questa creatura che tra tutte è stata scelta dall’Eterno Padre per divenire la madre di Dio? Perché lei? Che cosa vuole, che cosa cerca da me? La Vergine Maria, prima credente, prima discepola, figlia del suo figlio, non indugia a richiamare l’uomo alla conversione, con qualunque mezzo d’amore che l’Eterno Padre, le concede! Maria ha detto Si, il suo Si è per sempre, è Salvezza, Redenzione. E’ beata Maria. Beata te o Maria! “…E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore. (Mt. 1, 45). La parola iniziale con cui esordisce il Simbolo della fede è “Credo/Crediamo”, quella finale “Amen”, in greco “Pistis”. Infatti Amen in greco acquista un significato di certezza. Così il Simbolo della fede è compreso tra due parole che significano la stessa cosa, e che non rinviano solo a “un contenuto” ma anche a Colui del quale si ha la notizia di quel contenuto, e la cui testimonianza o Parola è l’oggetto dell’azione indicata col termine “Credo”.
Quando Dio invia la sua Parola e il suo Dono, l’uomo risponde accettando nella fede la Parola di Dio, mosso dal suo amore. Più precisamente, la Rivelazione/Relazione soprannaturale instaurata con l’uomo per iniziativa di Dio stesso, può essere rappresentata come un dialogo nel quale il Verbo di Dio si esprime nell’Incarnazione. Il dialogo della salvezza non ha obbligato nessuno ad accoglierlo, ha lasciato liberi coloro a cui si rivolgeva, di accogliere o rifiutare (Mt. 12, 38 S.). La risposta adeguata a questo invito è la fede. Essenza della fede è adesione alla Parola di Dio in quanto tale, senza nulla perdere della sua dimensione totalizzante, è fortemente caratterizzata dall’aspetto noetico, che nasce dall’adesione formale alla Parola di Verità. La Vergine Maria, realizza nel modo più perfetto l’obbedienza alla fede. Il fiat di Maria all’angelo è il suo Amen alla Rivelazione, all’invito che le è stato fatto personalmente e che le assegna il ruolo che deve svolgere nel piano della salvezza; allo stesso tempo è l’Amen al progetto che Dio ha disposto per la salvezza del suo popolo. La pienezza della sua risposta, corrisponde alla pienezza della sua appartenenza soprannaturale e libera al Mistero di Cristo. La pienezza della fede di Maria traspare dalla compiutezza della sua risposta a Cristo come discepola, serva, e Madre. La Vergine è costante, perfettamente disponibile ad accogliere i progetti del Padre. Infine, la pienezza della fede di Maria, viene evidenziata dalla sua singolarissima efficacia in ordine alla santità propria e alla salvezza degli uomini di tutti i tempi. Come ci ricorda San Tommaso D’Aquino (Summa Teologica, III, q. 30, a. 1.), che nel dire Fiat all’angelo, Maria acconsentiva in nome di tutta l’umanità alle nozze del Figlio di Dio con la natura umana.
Il nome di Maryam, la madre di Gesù, si trova menzionato più spesso nel Corano che in tutto il Nuovo Testamento: lo troviamo ripetuto trentaquattro volte contro le diciannove dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli (mentre non figura né nelle Epistole, né nell’Apocalisse). E necessario, tuttavia, osservare che sulle trentaquattro menzioni coraniche, il suo nome appare ventitré volte come parte integrante della designazione di suo figlio in quanto “Messia ‘Isâ (Gesù), figlio di Maryam” (o, più semplicemente, “il figlio di Maryam”). Di conseguenza, ella si trova menzionata per nome e da sola soltanto undici volte. A titolo comparativo, rileviamo che non lo è molto più spesso nel Nuovo Testamento (soltanto diciannove volte). Se, dal punto di vista quantitativo delle menzioni, il posto che occupa tanto nel Vangelo quanto nel Corano si rivela dunque relativamente modesto, il suo ruolo è comunque insigne, centrale, benché con accenti e per motivi diversi da una parte e dall’altra. A differenza del Nuovo Testamento, il Corano presenta un certo equilibrio tra il numero delle menzioni di Maryam e quelle del figlio ‘Isa, il cui nome appare soltanto venticinque volte (contro le 1137 del Nuovo Testamento). Queste osservazioni statistiche, del tutto esteriori e perciò di portata assai limitata, costituiscono tuttavia un indizio non trascurabile della diversità di prospettive e dei rispettivi punti di vista. Ma (fatto particolarmente significativo) ella è, in tutto il Corano, l’unica donna che venga designata con il proprio nome. La stessa Eva, madre dell’umanità appare soltanto come “moglie di Adamo”. Tutte le altre figure femminili, analogamente, sono menzionate solo in relazione a un uomo (designato per nome), in riferimento al rispettivo status di moglie, madre, figlia o sorella. Attraverso questa designazione nominale non solo eccezionale, ma unica, è come se Maryam riassumesse nella propria figura tutte le donne, a cominciare da Eva, che in lei trova un nome. Di là da ogni riferimento sociologico sul posto della donna nella comunità cui si rivolse inizialmente il Corano, è possibile decifrare in questa eccezione, evidenziata con tanta chiarezza, il segno di un destino unico di Maryam nel piano di Dio per la salvezza del mondo. Nel Corano Maryam è anche l’unica donna consacrata a Dio da sua madre fin da prima della nascita (C III, 35) e l’unica a essere salutata con venerazione dagli angeli stessi come due volte scelta da Dio in quanto “purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo” (C III, 42). Questa straordinaria condizione riservata a Maryam è tanto più sorprendente in quanto, a differenza dei Vangeli, il Corano non riconosce il mistero dell’incarnazione redentrice che costituisce il fondamento stesso della fede cristiana. Più precisamente, non riconosce la divinità di colui che chiama il “Messia ‘Isa, figlio di Maryam”, né la realtà della passione, della morte sulla croce o della resurrezione. Secondo il Corano, ‘Isa (Gesù) non sarebbe stato ucciso, bensì richiamato da Dio presso di sé senza passare per le prove della passione (C III, 55). Oltre a notazioni essenziali quanto specifiche e sparse, il Corano consacra a Maryam due episodi ininterrotti e relativamente lunghi, assai diversi per ambientazione e forma e la cui rivelazione avvenne a distanza di tempo. Il primo si trova nella sura XIX, intitolata “Maryam” che, secondo la tradizione, sarebbe probabilmente la quarantaquattresima discesa nel periodo della Mecca; il secondo nella sura III, intitolata “La famiglia di ‘Imran”, che sarebbe stata rivelata a Medina, quindi più tardi, dopo un periodo abbastanza lungo. Al di fuori di questi due riferimenti principali, la figura di Maryam si trova evocata in altre cinque sure ripartite cronologicamente intorno a questi due poli. Benché la figura di Maria (Maryam) sia anche indissociabile da quella di suo figlio, tanto nel Corano che nei Vangeli, il riferimento a Gesù (‘Isa) non è tuttavia identico da una parte e dall’altra, precisamente nella misura in cui egli non vi è investito della stessa identità (divina). Ora, secondo la tradizione e la teologia della Chiesa (cattolica), tutti i privilegi riconosciuti a Maria, dall’immacolata concezione all’assunzione, lo sono a titolo del suo status di “Madre di Dio”, theotokos, come l’ha definita solennemente il Concilio di Efeso nel 431. Nel Corano, invece, è Maria che entra nella denominazione di suo figlio (Gesù figlio di Maria, ‘lsa’bnuMaryam) come nella sua titolatura (“il Messia Gesù, figlio di Maria”), e non l’inverso (Maria madre di Gesù). Questo primo indizio lascia già presagire che il Corano esamina il mistero di Gesù a partire da quello di sua madre, e vedremo come la figura di Maria riassuma gran parte del non detto concernente il figlio. La questione centrale con la quale ci dobbiamo confrontare è quindi la seguente: a che titolo il Corano eleva la figura di Maryam a una posizione tanto eccezionale, al di sopra di tutte le creature, se non come Madre di Dio? Come sottolinea la sura V, intitolata “La tavola imbandita”, “Il Messia figlio di Maryam non era che un messaggero. Altri messaggeri erano venuti prima di lui, e sua madre era una veridica. Eppure entrambi mangiavano cibo […]” (C V, 75). Questa affermazione deriva da una presa di posizione generale del Corano nei confronti di Maryam e di ‘Isâ: da una parte, sottolinearne con insistenza l’umanità e, si potrebbe dire, la “normalità”; dall’altra, non passare sotto silenzio una dimensione misterica che li separa da tutti gli esseri umani in una relazione straordinaria, unica, tra l’una e l’altro e tra ciascuno dei due immediatamente con il Creatore.
Dott.ssa Manila Di Gennaro (Teologa)