ROMA – Situato a circa 50 km a sud di Addis Abeba, Melka Kunture è un’area archeologica che si estende sull’altopiano etiopico a circa 2000 m di altitudine: si tratta di un vasto agglomerato di depositi archeologici datati tra 2.000.000 e 5.000 anni fa che per estensione, per la lunga sequenza culturale e per la molteplicità e varietà delle situazioni archeologiche presenti nelle sue diverse fasi, si configura come un complesso straordinario, paragonabile soltanto alla Gola di Olduvai in Tanzania. Melka Kunture, però, si distingue nettamente dall’ambiente della savana, non soltanto per il clima fresco e piovoso, ma anche per una flora e una fauna differenti, rappresentando un unicum nel suo genere.
Nello studio appena pubblicato da un gruppo di ricercatori guidato da Margherita Mussi, docente fino al 2019 del Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, emerge come a Melka Kunture, e in particolare nel sito di Simbiro, sia stata individuata una sorta di piccola falesia di circa 5 m, comprendente cinque ben visibili livelli archeologici dell’Acheuleano risalenti a più di 1.200.000 anni fa; di questi uno, il livello C, presenta un’imponente quantità di bifacciali di ossidiana e di schegge derivate dalla loro produzione.
L’analisi dettagliata dei bifacciali di ossidiana rivela come essi siano estremamente standardizzati, quindi fatti da mani esperte che producevano schegge di grandi dimensioni riuscendo a ritoccarle per ottenere forme costanti e ripetute, nonostante la fragilità dell’ossidiana, un vetro vulcanico. “Il fatto che a Simbiro non ci fossero altri tipi di strumenti, ad eccezione di questi utensili di ossidiana di alta qualità, porta a ritenere che questo fosse un luogo di produzione specializzato – spiega l’archeologa Margherita Mussi, direttrice dello scavo dal 2011 – In altri termini, questo è un atelier di produzione, il più antico mai noto dal momento che quelli finora conosciuti non risalgono ad oltre 300.000 anni fa”.
Per realizzare lo studio sono stati valutati gli aspetti spazio-temporali delle più antiche fasi dell’evoluzione. Varie piste di ricerca permettono di ricostruire con precisione un ambiente pianeggiante e ricco di alberi, con un corso di acqua che stagionalmente esondava e cambiava corso, accumulando e poi erodendo dei depositi di vario tipo. Uno di questi, un accumulo di grossi ciottoli di ossidiana, non sfuggì all’attenzione degli ominidi, che in più occasioni vennero ad utilizzarlo per produrre bifacciali di ossidiana. In generale, le evidenze che si hanno per il Pleistocene inferiore suggeriscono un modello poco differenziato di abitato, in cui si svolgevano tutte le attività quotidiane, dalla produzione degli strumenti al loro uso per ogni tipo di necessità; a Simbiro abbiamo invece solo produzione di bifacciali molto standardizzati che andavano poi trasferiti altrove dove venivano utilizzati. L’area era stagionalmente invasa dalle acque e bisognava quindi prevedere il periodo dell’anno in cui venire, una pianificazione finora mai riscontrata in questa fase del Pleistocene.
Di grande importanza è il modo in cui gli ominidi sono giunti a questi eccellenti risultati. A Melka Kunture, si sapeva scheggiare l’ossidiana da molto tempo, visto che già 2.000.000 di anni fa l’Olduvaiano è prevalentemente su ossidiana, ma si trattava di schegge ottenute con una certa facilità da piccoli ciottoli di pochi centimetri; poi, a partire da 1.950.000 anni fa si producono, sia pure raramente, anche delle grandi schegge e qualche bifacciale, ma utilizzando piuttosto altre pietre vulcaniche come il basalto.
“Il ritrovamento di questo atelier evidenzia una tappa fondamentale dello sviluppo dell’intelligenza umana: l’innovazione, che è collegata alla creatività – continua Margherita Mussi – È il primo esempio di sviluppo di “parallel thinking”, che significa far convergere conoscenze e abilità tecniche lungamente acquisite in precedenza in altre produzioni, cioè piccole schegge di ossidiana da una parte, bifacciali di basalto dall’altra, per ottenere un prodotto nuovo, ossia bifacciali standardizzati su grandi schegge di ossidiana. Melka Kunture – sottolinea la Mussi – non solo fornisce informazioni sullo sviluppo dell’intelligenza umana, ma dimostra anche la necessità di non sottovalutare, con facili generalizzazioni, le capacità degli ominidi del Pleistocene inferiore, che hanno fatto ben altro che adattarsi passivamente all’ambiente”.
La “Missione archeologica Italo-Spagnola a Melka Kunture e Balchit” è diretta da Margherita Mussi. A Simbiro i finanziamenti alla ricerca sono stati quelli dei “Grandi Scavi di Ateneo”, concessi da Sapienza fino al 2018, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e di enti spagnoli, in particolare della Fundación Palarq.
Riferimenti:
A surge in obsidian exploitation more than 1.2 million years ago at Simbiro III (Melka Kunture, Upper Awash, Ethiopia – Margherita Mussi, Eduardo Mendez-Quintas, Doris Barboni et al – Nature Ecology and Evolution 2023) https://doi.org/10.1038/s41559-022-01970-1.
Credits immagini: Missione archeologica italo-spagnola a Melka Kunture.