ROMA – In occasione dell’inizio del periodo di sperimentazione delle pistole elettriche Taser in 12 città, il direttore generale di Amnesty International Italia Gianni Rufini ha scritto al prefetto Franco Gabrielli, capo della Polizia, esprimendo una serie di preoccupazioni riguardo all’introduzione di tale misura. Pur riconoscendo che la Taser sia un’arma utile, più sicura di molte altre armi o tecniche utilizzate per bloccare individui pericolosi e aggressivi, in non pochi casi nei paesi in cui è già in uso risulta impiegata nei confronti di persone vulnerabili o che non rappresentano una minaccia seria e immediata per la vita o per la sicurezza degli altri.
Una sperimentazione analoga a quella in programma in Italia e svolta in Olanda nel 2017 ha rivelato come in circa la metà dei casi, le persone siano state colpite dalla Taser quando erano già ammanettate, dentro un veicolo o una cella di polizia e in celle separate negli ospedali psichiatrici, in ogni caso senza che il loro comportamento costituisse una seria minaccia.
Negli Usa e in Canada, dove la Taser è utilizzata da quasi 20 anni, il numero delle morti direttamente o indirettamente correlate a quest’arma ha superato il migliaio. Nel 90 per cento dei casi, le vittime erano disarmate. Gli studi medici a disposizione sono concordi nel ritenere che l’uso delle pistole Taser abbia avuto conseguenze mortali su soggetti con disturbi cardiaci o le cui funzioni, nel momento in cui erano stati colpiti, erano compromesse da alcool o droga o, ancora, che erano sotto sforzo, ad esempio al termine di una colluttazione o di una corsa.
Alla luce di questi dati, Rufini ha chiesto al prefetto Gabrielli se, prima di mettere a disposizione delle forze di polizia le Taser, sia stato effettuato uno studio sui rischi per la salute e garantita una formazione specifica e approfondita per gli operatori che ne verranno dotati, in linea con gli standard internazionali e in particolare con i Principi guida delle Nazioni Unite sull’uso delle armi da fuoco da parte degli agenti di polizia. Una maggiore trasparenza sulle modalità di utilizzo, su limiti e precauzioni e sulla formazione ricevuta dagli agenti di polizia garantirebbe, secondo Rufini, un maggior livello di fiducia nell’utilizzo di tali strumenti anche da parte dei cittadini stessi.
“La conseguenza più grave che vediamo nel lungo termine è che le Taser vengano usate come arma di routine per far rispettare la legge in assenza di una minaccia di lesioni gravi o morte, dunque in modo non conforme agli standard internazionali sui diritti umani”, conclude nella lettera Rufini.
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