ROMA – Le ipotesi sull’origine di Homo sapiens sono sempre di grande interesse. L’ultimo significativo contributo al tema è fornito dall’articolo Pan‐Africanism vs. single‐origin of Homo sapiens: putting the debate in the light of evolutionary biology, pubblicato sulla rivista Evolutionary Anthropology, a firma di Giorgio Manzi, paleoantropologo del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, e di due docenti dell’università di Padova, la filosofa della scienza Andra Meneganzin e lo storico e filosofo della biologia Telmo Pievani.
Gli autori prendono in esame le due ipotesi oggi più accreditate, analizzando le linee di evidenza a supporto dei modelli in discussione e mettendo in risalto alcuni limiti inferenziali e malintesi terminologici ricorrenti nell’attuale dibattito internazionale.
Superate le teorie degli anni Ottanta sulle origini diffuse della specie umana moderna, oggi si contrappongono due visioni. La prima, che si basa sulle evidenze fossili e su dati genetici, indica che le origini di Homo sapiens sarebbero da ricercare in una popolazione isolata dell’Africa orientale di oltre 200.000 anni fa. La seconda, denominata “pan-africana”, suggerisce che la combinazione di caratteri tipici della nostra specie sarebbe stata acquisita in diverse popolazioni diffuse su un vasto territorio, compreso tra il Marocco e il Sudafrica; dall’influenza delle relazioni genetiche e culturali costituite da queste popolazioni, in tempi più remoti di quelli ipotizzati precedentemente (risalenti a più di 300.000 anni fa), sarebbero emerse le caratteristiche dell’Homo Sapiens della specie.
Giorgio Manzi, Andra Meneganzin e Telmo Pievani riconoscono la speciazione in popolazioni isolate come la modalità privilegiata per l’origine di un nuovo modello biologico, in particolare durante le fasi di marcata instabilità ambientale come quella che si ebbe intorno a 200.000 anni fa, periodo al quale sono riferiti i più antichi crani umani di forma globulare provenienti dall’Africa orientale (Etiopia). Il loro ragionamento si basa su una caratteristica umana cruciale: l’acquisizione di una scatola cranica di forma globulare; caratteristica che sarebbe il risultato di un evento “puntuato” di speciazione a partire da una piccola popolazione isolata.
Lo studio suggerisce, così, che questo contributo fondamentale potrebbe essere emerso da una singola popolazione, nonostante si riconosca che il modello pan-africano descrive bene la diversificazione a mosaico delle popolazioni umane arcaiche del tardo Pleistocene Medio. “Nulla esclude – spiega Giorgio Manzi – che ci possa essere stato, sia prima che dopo, un intenso flusso genico fra le popolazioni africane: a livello intraspecifico, prima della speciazione, e interspecifico, dopo la speciazione, in modo simile alle ibridazioni che si verificarono successivamente in Eurasia con i Neanderthal e i Denisova. Basta ammettere che questo possa essere avvenuto anche in Africa, tra le prime popolazioni della nuova specie (Homo sapiens) e quelle della specie madre (Homo heidelbergensis)”.
Riferimenti:
Pan‐Africanism vs. single‐origin of Homo sapiens: putting the debate in the light of evolutionary biology Andra Meneganzin, Telmo Pievani, Giorgio Manzi Evolutionary Anthropology 31 (2022): pp. 199-212. DOI: 10.1002/evan.21955 Open access https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/evan.21955.