SENIGALLIA – A partire dal 25 giugno, fino al 07 novembre 2021, ha aperto al pubblico, presso l’incantevole cornice della Rocca Roveresca di Senigallia, la mostra fotografica di Mario Cresci “L’Oro del tempo” a cura di Francesca Fabiani.
L’iniziativa è frutto della collaborazione tra l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e la Direzione Regionale Musei Marche. L’evento, inoltre, è inserito all’interno del programma della II edizione della Biennale di Senigallia.
«Grazie alla collaborazione dell’ICCD, la Direzione Regionale Musei Marche intraprende un percorso nel mondo della fotografia, aprendo gli spazi espositivi della Rocca Roveresca a mostre ed iniziative. L’Oro del tempo di Mario Cresci, che apre questa iniziativa, è programmatica: non si tratta di semplice esposizione, ma di narrazione e indica chiaramente, a fianco dell’interesse per l’arte fotografica, l’attenzione al contemporaneo». Spiega Luigi Gallo, Direttore della Direzione Regionale Musei Marche.
Anche Carlo Birrozzi, Direttore dell’ICCD, prosegue in questa direzione e afferma: «Esportare fuori sede e condividere l’esito delle nostre ricerche con un pubblico di appassionati è il motivo che ci ha spinti a partecipare alla Biennale di Senigallia; siamo certi che il sodalizio Rocca Roveresca + ICCDoff site, nato dalla collaborazione con la Direzione Regionale Musei delle Marche, saprà sviluppare anche nelle prossime edizioni progetti di valorizzazione di questo, sempre sorprendente, medium».
Con questa mostra, viene dunque presentato a Senigallia l’esito del programma ICCD/Artisti in residenza che prevede ogni anno il coinvolgimento di un fotografo chiamato a dialogare con le collezioni storiche dell’istituto, realizzando un lavoro fotografico che alimenti le collezioni con nuove produzioni. Riattivare i significati stratificati delle fotografie storiche conservate in ICCD è uno degli obiettivi del programma di residenze d’artista, una delle più fruttuose modalità per risvegliare i cospicui depositi custoditi dall’istituto (oltre 7 milioni di fototipi), ricollocandoli nella contemporaneità attraverso uno sguardo d’autore.
Nel corso della sua residenza, Cresci ha circoscritto il lavoro su due nuclei: l’archivio del ritrattista Mario Nunes Vais (Firenze 1856 – 1932) e una serie di fotografie di statuaria classica facenti parte dell’archivio del Gabinetto Fotografico Nazionale. Il tratto ricorrente tra i soggetti è la rappresentazione della figura umana, individuato come tema centrale della ricerca: da un lato dunque i ritratti del bel mondo (cantanti, attori, personaggi famosi, nobildonne e poeti) che Nunes Vais fotografò a cavallo tra otto e novecento, palpitanti di vita, sguardi, carne e sangue, dall’altro le fotografie di sculture per lo più di ambito greco-romano (o copie) in marmo o gesso.
Figure che, attraverso lo sguardo interrogativo di Cresci, mutano sembianza: l’affascinante ritratto dell’attrice Emma Gramatica o la Testa di Apollo Sauroktono, diventano pretesto per una serie di sperimentazioni visive, pur nel rispetto — sempre presente in Cresci — dell’autore che le pensò in origine.Come spiega la curatrice,Francesca Fabiani: «L’approccio di Cresci alla fotografia è globale: l’interesse per l’autore, per la storia, per la tecnica, per il soggetto e per l’oggetto fotografico, si sommano a quello per la fotografia intesa come linguaggio di segni, grammatica visiva, esperienza percettiva. Cresci ha sempre concepito la fotografia come forma espressiva integrata alle arti contemporanee, ponendo al centro della ricerca l’indagine critica e autoriflessiva del linguaggio fotografico. Un approccio che tuttavia non lo ha mai distolto dal misurarsi con il quotidiano e dall’interrogarsi sul ruolo dell’artista, che egli ha inteso ridefinire e attualizzare nella sua dimensione sociale, tesa al recupero di una intelligenza civile».
L’esito di questo lavoro è stato presentato per la prima volta a Roma presso gli spazi espositivi dell’ICCD e viene riproposto in mostra con la prima ufficiale iniziativa ICCDoff site presso la Rocca Roveresca. Si presentano a Senigallia25 stampe ludiche e sorprendenti, ottenute rielaborando, alterando, isolando e reiterando alcuni particolari delle fotografie secondo un procedimento attivato dall’autore.
L’utilizzo dei numeri di inventario al posto delle didascalie, l’inclusione del bordo nero del negativo nella restituzione finale delle opere, così come la scelta grafica del libro d’artista, in copie numerate e firmate dall’autore, a tiratura limitata, edito da Postcart (fogli sciolti racchiusi in una scatola di tipo conservativo) rimandano al concetto di archivio e ci ricordano che anche la collocazione fisica degli oggetti fotografici, nel loro destino errante, merita di essere osservata con intelligenza.
La fotografia può dare vita a infinite storie, ben al di là del contesto che l’ha generata, e può farlo solo se interrogata con approcci diversi: «La realtà non è ciò che vediamo quanto piuttosto quello che sentiamo nel trascorrere del tempo e il sentire a sua volta muta con la frequenza e l’intensità del nostro vissuto insieme al modo di vedere e di pensare il mondo», spiega Mario Cresci.
E proprio al tempo rimanda il titolo del lavoro, che riprende la frase scelta da André Breton come epitaffio della propria tomba “Je cherche l’or du temps”. Una dichiarazione di intenti: l’instancabile ricerca di ciò che di prezioso e incorruttibile (come l’oro) persiste nel fluire del tempo.