La mattina del 9 gennaio 1848 comparvero a Palermo dei manifesti che esortavano il popolo a prendere le armi per rivoltarsi contro il Re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone (12 gennaio 1810 Palermo – 22 maggio 1859 Caserta). Sui manifesti veniva dato appuntamento alle masse all’alba del 12 gennaio. Quella che poteva sembrare una rivoluzione improvvisata, divenne un aspro scontro che vidi uniti aristocratici, intellettuali, borghesi, possidenti e contadini contro l’esercito del Regno delle Due Sicilie.
Per circa dieci giorni i rivoltosi tennero testa all’esercito, fino ad impadronirsi della città. Venne creato un Comitato Generale presieduto da Ruggero Settimo dei principi di Fitalia, un vecchio liberale con un trascorso nella marina napoleonica e ministro nel governo del 1812. Il 29 gennaio Ferdinando II di Borbone concesse una Costituzione. Questa rivoluzione contagiò altre città della Sicilia fino a propagarsi in tutta Europa.
Francesco Bagnasco cittadino palermitano ricordato per essere colui che ideò, scrisse e pubblicò il celebre proclama della disfida per il 12 gennaio e la dichiarazione del 10 dello stesso mese.
L’Autore dei Proclami di Gennaio 1848
Dopo gli infelici risultati della rivoluzione del 1820 non mi lusingava di essere riservato a contribuir qualche pietra al mirabile edilizio della rivoluzione del quarantotto.
Eppure deplorando la oppressione della patria; seguendo coll’animo le mosse progressive della Giovine Italia, venni a concepire ben presto come se non si fosse temerario lo sperare risorgimento all’isola manomessa. Intanto sorgeva Pio che a migliori destini chiamava l’Italia e l’Europa. Allora con entusiasmo io leggeva quanto pubblicavasi in Palermo e in Italia; soprattutto i brani della lettera di Malta la cui terribile conclusione, contro i re provocatori de’ popoli, mi persuase che a prezzo di coraggio e sangue poteva l’avvilita Sicilia scuotere il gioco aborrito, espugnare le odiose bastiglie, e passar forse più oltre.
Nondimeno giusta l’esempio degli altri italiani si aspettavano tra noi le riforme in tante guise, da tanto tempo con tanti scritti importate. E sol quando si conobbe che invece apprestava Ferdinando, regii doni, manette ed ergastoli, allora la rivoluzione fu matura nella mente di tutti. I tempi invero erano compiuti ed ogni palermitano ispirava il soffio di Dio. Mancava una mano di arditi che osasse per un momento fare il viso dell’arme ai satelliti della tirannia, per incarnare il gran disegno, ed innalzare al di sopra dei vespri la nuova rivoluzione.
Nelle frequenti conferenze con mio fratello Rosario surse la felice idea di chiamare il popolo all’armi il 12 gennaio. <<Cospicui cittadini son pronti, diceami, a favorire la rivoluzione come sarà lanciata la prima pietra>>. D’altronde pieno di confidenza negli altissimi spiriti della nostra nazione generosa, diedi fuori lo scritto che, stampato e diffuso in Palermo e fuori, proclamava:
“Siciliani! Il tempo delle preghiere inutilmente passò. Inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni. Ferdinando tutto ha sprezzato. E noi popolo nato libero ridotto fra catene e miseria, tarderemo ancora a riconquistare i legittimi diritti? All’armi figli della Sicilia. La forza di tutti è onnipossente, l’unirsi dei popoli è la caduta dei re. Il giorno dodici gennaro 1848 all’alba, segnerà l’epoca gloriosa della universale rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quei siciliani armati che si presenteranno al sostegno della causa comune, a stabilire riforme ed istituzioni analoghe al progresso del secolo, volute dall’Europa, dall’Italia, da Pio.
Unione, ordine, subordinazione ai capi. Rispetto a tutte le proprietà, e che il furto si dichiari tradimento alla causa della patria, e come tale punito. Chi sarà mancante di mezzi ne sarà provveduto. Con giusti principii il Cielo seconderà la giustissima impresa. Siciliani all’armi”.
Il partito di opposizione si guardava in faccia, e chiedeva l’autore della insolita sfida. Il governo ne fu spaventato a segno, che la notte del 9 e 10 fece chiudere in Castellammare 11 dei liberali più noti; si minacciavano altri arresti, e la rivoluzione era lì lì per mancare. La somma delle cose, i destini della Sicilia parevano dipendere da un mezzo che rinfrancasse gli animi dei nostri, e portasse a un tempo il terrore nella guarnigione napolitana.
Ecco la dichiarazione che all’uopo io dettava, e che spargeasi anche nei vicini comuni, colla celerità del baleno:
“Le masse armate che dall’interno del regno corrono a prestar mano forte alla causa nazionale, prenderanno posizione nei vari punti delle nostre campagne indicate dai rispettivi condottieri. Costoro dipenderanno dagli ordini del Comitato direttore composte dai migliori cittadini di ogni rango.
La popolazione di Palermo uscirà armata di fucili all’alba del dodici gennaro mantenendo il più imponente contegno, e si fermerà nelle parti centrali aspettando i capi, che si faranno conoscere e la dirigeranno. Non si tirerà sulla truppa se non dopo serie provocazioni ed aperte ostilità.
In questo intervallo nessuno ardisca di criticare gli ordini ed i provvedimenti del Comitato. Ciò è del maggiore interesse, perché Non si alteri l’esecuzione del piano generale, diretto ad assicurare i destini della nazione e la salute pubblica.
Qualunque movimento che sarà suscitato in Palermo e fuori prima del giorno dodici, si avverte esser manovra di quella polizia che cerca di aggravare le pubbliche catene.
Non si domanderranno contribuzioni ai proprietari quando non siano volontarie e spontaneamente esibite. Ciò serva a smentire quanto la polizia va indegnamente praticando per discreditare il Comitato, incapace di esercitar concussioni di migliaia d’once a carico di negozianti e proprietari. Palermo, 10 gennaro 1848. Il Comitato Direttore”.
La sicurezza del linguaggio, l’annunzio degli aiuti vicini, il piano generale della rivolta senz’affettazione accennato, e più la idea di un Comitato Direttore dell’insurrezione, produssero all’alba del 12 il movimento fatale. Lo intese tra i primi La Masa, gli altri prodi l’intesero; e quella rivoluzione, che i detenuti in Castellammare aveano lasciata ipotesi romanzesca e lontana, divenne un fatto perfettamente compito.
I manoscritti delle due stampe clandestine furono portate allo stampatore Gilberti da mio fratello Rosario, il quale ebbe cura di diramarle in Palermo e nei comuni per mezzo de’ suoi innumerevoli rapporti con la maggior parte dei più caldi amatori della libertà. Francesco Bagnasco.
Fonti bibliografiche:
archiviostoricoeoliano.it/wiki/la-rivoluzione-del-1848
Ferrara F. (1848), Memorie su la rivoluzione siciliana del 1847 e 1848, Tipografia di L. Tonna
treccani.it
Nella foto: stampa realizzata da Nicola Sanesi La rivoluzione di Palermo del 12 gennaio 1848.
Redatto da Sara Fresi, storica e giornalista.