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    120 anni di emozioni con Madama Butterfly

    5:49 am
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    TORRE DEL LAGO PUCCINI / VIAREGGIO (LU) – Madama Butterfly compie 120 anni e per celebrare questo capolavoro  la Fondazione Festival Pucciniano riprende uno dei suoi più longevi allestimenti. La “Butterfly di Kan Yasuda” torna in scena sul palcoscenico del Gran Teatro Giacomo Puccini ben 24  anni dopo il suo primo debutto, era il 2000 quando lo scultore accettò la proposta di firmare con il suo stile creativo le scene del capolavoro di Puccini dando il là  al progetto Scolpire l’Opera che poi avrebbe portato tanti altri artisti figurativi a realizzare le scenografie delle opere pucciniane.

    Un allestimento che è in scena a Torre del Lago dal 2000 ma che è stato applaudito e premiato con grandi successi in Giappone, in Germania, negli Stati Uniti e in molti altri teatri italiani. Uno spettacolo che ha visto alternarsi nei ruoli protagonisti grandi interpreti tra cui la compianta Daniela Dessì e porta la firma alla regia di Vivien Hewitt mentre i costumi sono stati disegnati da Regina Schrecker.

    Allo sfortunato debutto del 17 febbraio 1904 al Teatro alla Scala, segue il successo del 28 maggio a Brescia: da quel giorno, per dirla con le parole del poeta Giovanni Pascoli, che scrisse a Puccini un biglietto consolatorio dopo il fiasco scaligero, “la farfallina volerà”. L’autore restò  fermo nella sua convinzione: «Pubblico ha accolto male “Butterfly”. Io però sono tranquillo nella mia coscienza d’artista». E ancora, in alcune lettere di quei mesi: «Possono dire ciò che vogliono (…) ma non riusciranno a seppellirmi né ad ammazzare la mia “Butterfly”, la quale risorgerà viva e sana più di prima». «E giuro a Dio e agli angeli suoi che è l’opera mia più sentita e più sinceramente scritta, e farà inghiottire il verde spurgo ai denigratori d’oggi».

    In occasione dei 120 anni dal debutto della tragica storia di Cio-Cio-San, tradita dalle promesse da marinaio di Pinkerton, il cartellone del 70° Festival Puccini ripropone al pubblico di Torre del Lago uno dei suoi più fortunati allestimenti di Madama Butterfly del progetto “Scolpire l’Opera con le scene dello scultore giapponese Kan Yasuda per la regia di Vivien Hewitt  e i costumi di Regina Schrecker.

    Nel ruolo di Cio-Cio-San si avvicenderanno Valeria Sepe (31 agosto) e Marina Medici (7 settembre) mentre Anna Maria Chiuri darà voce e corpo a Suzuki. Nei panni di Pinkerton torna il tenore Vincenzo Costanzo e Sergio Bologna sarà il console Sharpless. Maestro concertatore e direttore d’orchestra torna sul podio del Festival Puccini Jacopo Sipari di Pescasseroli.

    Le scene

    Lo spazio scenico di Kan Yasuda offre l’opportunità perfetta per esplorare i valori tragici e simbolici di quest’opera, riuscendo a raggiungere una concezione di assoluta bellezza formale mediante la sottrazione di ogni superficiale elemento di “giapponismo” storicizzante. Il Teatro all’aperto di Giacomo Puccini a sua volta amplifica questa idea grazie al suo spazio scenico singolare, dove si incontrano gli elementi naturali di acqua e di terra, laddove i personaggi del dramma si muovono nell’aria libera in cui s’adagiano le forme minimaliste dello scultore che, attraverso il fuoco delle luci cangianti, riflettono gli umori e le trasformazioni d’animo dei personaggi. Ciascun elemento scultoreo partecipa allo svolgimento del percorso narrativo della vicenda. Nel primo atto Ishinki (grande sasso) diventa il cuore e l’anima della piccola Cio Cio San mentre Scosse (volare) rappresenta la sua transitoria presenza terrestre. Nel second’atto Tenmoku (passaggio impossibile), la grande porta con la sua colonna centrale sospesa appena sopra la terra, rappresenta una dimensione spazio quasi inimmaginabile attraverso il quale lo spirito d’ogni essere umano dovrà passare dopo la morte per ricongiungersi con l’universo spirituale. Il passaggio fra le due dimensioni diventa possibile grazie alla presenza della grande porta aperta, Tensei, che appare soltanto nel momento in cui Butterfly decide di abbracciare la morte, quale matrice di liberazione dalla sofferenza esistenziale. Ciascun elemento scenico rappresenta un valore o un’emozione, ma anche uno spazio delegato in cui compiere azioni quasi rituali. La casa di Butterfly è un semplice e spoglio praticabile che diventa l’isola psicologica sulla quale vive la protagonista; nel secondo atto quell’isola si collega ad una passerella, simile a quella del teatro No, che permette la comunicazione simbolica tra Butterfly e il mondo esterno che poco a poco la distruggerà.

    La regia – Vivien Hewitt

    I piani della tragedia: scontro di culture… scontro uomo donna

    Puccini, nello scrivere Madama Butterfly, passò oltre tre anni a studiare il Giappone in tutti i suoi  aspetti culturali: la musica, il teatro, il modo di vivere di quel paese all’epoca così lontano ed esotico. Era il momento della diffusione in Europa dell’opera di Hokusai e Hirosige e del collezionismo dei kimoni, delle armature Samurai, dell’oggettistica giapponese, ma anche l’era di Freud e dei primi studi psicologici. Puccini non soltanto conobbe personalmente la moglie dell’ambasciatore del Giappone, ma quando poteva ‘rincorreva’ Sada Jacco, la prima attrice giapponese ad effettuare un tour in Europa, osservandola con grande attenzione nel drama kabuki “La geisha e il samurai”: una geisha di famiglia nobile decaduta, inizialmente dolcissima, viene tradita dall’amante ed uccide la nuova moglie di questi per poi, in una scena di follia, suicidarsi. Sembra questa la storia di Madama Butterfly, privata soltanto del suo conflitto culturale. Ed è con questo spettacolo impresso nella memoria che Puccini crea la sua eroina, ne esplora la mente e le emozioni, per offrirci un personaggio assolutamente attendibile che esercita sul pubblico un fascino irresistibile. La bellezza figurativa e formale dell’azione e l’accurato approfondimento delle personalità dei protagonisti sono  le fondamenta sulle quali  è fondata la regia di Vivien Hewitt. Il dramma di Cio Cio San, amante delle cose piccole e silenziose, racconta in un macrocosmo una tragedia di proporzioni epiche che si svolge su due piani. Da un lato abbiamo un tragico scontro culturale tra due mondi, tra l’Ovest e il nascente Est, con sistemi di valori diversissimi. Cio Cio San, come un’eroina di Kabuki, raccoglie in se tutte le virtù giapponesi: onore, orgoglio, costanza, fedeltà, umiltà, amore e – fatalmente – ubbidienza: come in ogni tragedia del teatro classico sigilla la sua fede con la morte mediante  Sopukku (il taglio delle gola). Pinkerton è l’antieroe di un occidente che viene messo in discussione dalle sue azioni: bello, divertente, entusiasta, avventuroso, ma anche arrogante, superficiale, incostante, cinico, tollerabile soltanto perché genuinamente cieco verso la sincerità altrui e, finalmente, affranto per il danno commesso. Su un altro piano invece il Giappone dell’opera funge da contenitore suggestivo per l’incontro-urto tra una ragazza qualsiasi, naif, virtuosa, di buona famiglia, ma povera, con un uomo più maturo, che vive in condizioni economiche agiate e con aspettative e valori diversi dai suoi. Lei, che come modello ha un padre suicida, si immola sull’altare dell’amore per un “lui” che ha costruito idealisticamente diverso da “gli altri” nella sua mente, ma che scopre purtroppo uguale o peggiore.È questa una tragedia umana e psicologica che trascende ogni limite di cultura, di luogo e di epoca storica ed è in questo contesto che gli elementi simbolici-astratti di Yasuda, tanto giapponesi quanto universali, sottolineano i due piani dell’opera in un allestimento forte, sognante e spettacolare, lontano dal quel finto Giappone kitsch e sentimentale che spesso sminuisce la statura tragica dell’opera e la sua forza catartica e liberatoria.

    I costumi

    Regina Schrecker ha ridotto il classico kimono giapponese e i costumi coloniali di fine ‘800 a forme pure e raffinate, ed un’attenta ricerca tra le foto originali dell’epoca le ha permesso di tradurre il tutto in  una gamma coloristica limitatissima quanto luminosa ed efficace.

    Sul podio Jacopo Sipari di Pescasseroli

    “Per la musica di Puccini provo un amore quasi fisico. Quando l’ho ascoltata per la prima volta, è stato come rivivere le emozioni, forti, uniche e indescrivibili, del mio primo amore …Madama Butterfly è l’opera che mi consente di più di tirar fuori le emozioni lavorando sulla meravigliosa tavolozza dei colori strumentali di Puccini. L’orchestra è importantissima, si trasforma di continuo perché segue da vicino la crescita e la trasformazione di Cio-Cio-San, prima ragazza e poi donna”.

    Kan Yasuda – La mostra “Forma Suono Anima”

    “Forma Suono Anima” la Mostra che la Città di Viareggio ha dedicato allo scultore giapponese Kan Yasuda, autore anche del primo allestimento del progetto Scolpire l’opera del Festival Puccini di Torre del Lago. Le sue  sculture fanno bella Mostra sul lungomare di Viareggio e in alcuni angoli tra i più suggestivi della Città. Una mostra voluta dal Comune di Viareggio omaggio all’artista che ha scelto di vivere in Versilia, trasferendosi sin dagli anni ’70 a Pietrasanta dove ha il suo laboratorio.

    “Maestro di sapienza e bellezza”  come ama definirlo il Sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro, Kan Yasuda crea sculture su cui salire e sdraiarsi, opere da toccare, accarezzare e attraversare. La sua filosofia artistica è l’invito ad instaurare un rapporto di empatia con le sculture attraverso il tatto. Le sue creazioni non sono lo specchio di una realtà visibile ma inducono a riconoscersi nella loro studiata armonia, nel loro profondo mistero, nella loro intrinseca e inarrivabile leggerezza. Non a caso Bruno Munari (nostro maestro minimalista, capace di far scaturire capolavori da una semplice intuizione formale) in occasione della sua prima mostra italiana a Milano nel 1991 aveva affermato che le sue opere non contenevano nulla ma rappresentavano il tutto. E Fred Licht aveva ribadito nel 2007, a corredo della personale di Yasuda ai Mercati di Traiano di Roma: “Le sue sculture richiedono qualcosa che va oltre il senso della vista o il senso del tatto, oltre l’intelligenza critica. Ci domandano di assorbirle, di ricrearle nella nostra memoria”.